Per andare a Torino
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I racconti di Valentino Morello
Per andare a Torino
"Viliaca, tira fora el me capèl!" urlò Checo Somariva, correndo a saltoni sul campo arato di fresco; ma dovette fermarsi ben presto, col fiato che non gli veniva più, gli scarponi affondati nelle zolle, poco distante dalla fila delle pioppe: la Nena era già lontanissima e ancora saltellava verso le case dei Pagnan.
A cinquant’anni suonati e con quelle grosse chiappotte, la Nena correva più di lui. "Viliaca! – urlò Checo, agitando il pugno nell’aria – stasera te conzhe!" Non gli restò che tornare su per la riva, verso casa, maledicendo la disgrazia che gli era capitata.
Nascondergli il cappello! Quella vigliacca della Nena gli aveva nascosto, chissà dove, il cappello d’alpino! A lui, il capogruppo degli alpini del paese!
Tutto era cominciato il mese prima, quando Checo, entrando trionfante in cucina, una domenica, aveva annunciato alla famiglia: - Carissimi, sto ano vàe a Torino! – La nuora e la Nena si erano scambiate una rapida occhiata, senza dir niente: e la sera, quando Checo andò per tirar fuori il “suo” cappello dall’armadio per fargli andar via l’odore di naftalina… non lo trovò.
"Dove xélo el capèlo?" ringhiò, scendendo le scale.
"Per far cossa?" chiese la Nena, che sferruzzava vicino alla stufa.
"Par ’ndar a Torino!"
"Par tornar come quela volta de Padova?"
Checo era tornato dall’Adunata di Padova affondato in una carriola, spinta dalla stazione dai fedelissimi amici, due giorni dopo che l’Adunata era finita. Per altri due giorni non disse una parola e non mosse un dito; all’alba del terzo giorno disse tre parole: "Mollie, dame ’n’ombra!".
"A Torino gnente!" sentenziò la Nena.
E da quel giorno fu la guerra. Checo le provò tutte, buone maniere, minacce, sacramenti: tutto inutile, quella "viliàca" non cedeva!
Intanto gli amici erano indaffaratissimi nei preparativi.
Toni Garbo sapeva a memoria il “programma”; Gigi Folador raccoglieva le adesioni; Tita Mono curava l’organizzazione; Jelmo Sofegòn guidava i compari in cantina a rimirare le damigiane che avrebbe portato a Torino.
E Checo “capogruppo!” non osava parlare di niente
L’unico con cui si confidò fu suo padre. Fu mentre potavano le viti, una giornata di sole. A ottant’anni, Sante Somariva si gustava più di tanti altri il sole nel vigneto.
"Mi savarìa cossa far…" disse il vecchio, tirando su per il naso una gran presa di tabacco.
"Cossa, pare, cossa?"
Sante lo prese a braccetto e cominciò un lungo discorso camminando tra i filari gesticolando e fermandosi ogni tanto: arrivati davanti alla casa, si fermò, si soffiò il naso e disse:
"In conclusiòn, qualche sera prima de l’Adunata, daghe ’na gran incoconàda in lèto, e te vedarà che tuto se mete a posto!"
Una sera, ai primi di maggio, Checo respirò a lungo l’aria che sapeva di erba tagliata, poi rientrò e salì con decisione la scala.
La mattina dopo, trovò in cucina, sopra la tavola, un gran mazzo di rose. Fuori, al sole, la Nena cantava.
A pranzo fu servito come non succedeva da anni, e la Nena gli passò una mano sui capelli mettendogli davanti il fiasco.
La sera, sentì un odore di naftalina, e rivide il suo cappello, sopra la credenza, come per incanto: fuori la Nena e la nuora ridacchiavano piano.
Checo e la Nena
La strada verso la stazione sembrò lunghissima: ma lo confortava il peso dei fiaschi nello zaino; e ogni tanto lisciava con la mano la penna nera.
"Checo, dài che ghe sémo tuti!" urlarono gli amici dal vagone: e lui si tuffò nella compagnia, e il treno partì che stavano tutti cantando.
Fu dopo una lunga sorsata dal fiasco che se la vide di fronte, sorridente, con un fazzoletto rosa e verde in testa, che gli veniva incontro fra un ondeggiare di cappelli che si voltavano a guardarla.
"Caro el me alpin! Che belessa, un altro viaio de nosse col me Checo!"
"Viva i sposi!" urlò qualcuno.
La penna nera di Checo ebbe un sussulto, quando la Nena si mise a sedere, con quelle sue grosse chiappotte.
La campagna scorreva via dal finestrino, gli alpini cantavano.
"Pàre, questa te me la paghi!" pensò Checo: ma intanto gli parve che il treno, correndo, gli dicesse:
"Che-co-ion - Che-co-ion - Che-co-ion!..."