Monumento all'Alpino Baccichet
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I racconti di Valentino Morello
Monumento all'Alpino Baccichet
Monumento all'Alpino Baccichet
La più bella fotografia della storia d’Italia era, secondo Angelo Baccichét – detto Brumba – quella che s’era fatta fare un Garibaldino, ritto in piedi su una botte, con sotto un cartello, come una lapide: pareva un monumento, e il garibaldino aveva un’aria distintissima e soddisfatta, si capiva benissimo che quella botte se l’era scolata tutta; e chissà quante altre…
"Questo xe un omo! - gridò nell’osteria della Cencia Angelo Baccichét, agitando la fotografia, che aveva ritagliato l’anno prima da un giornale del barbiere – parché el se gà fato el pi’ bel monumento, lu in zima a ’na bote! Viva Garibaldi, altro che ’sti quatro tangheri de adesso, porco boia!"
"Brumba, va a casa ché te sì cargo e te te incassi par gnente e te vien mal al figà!"
"Chi xe che se incassa! Vardé qua, questo xe un omo, altro che quei viliachi che ne magna su le coste! Coparli, ghe vorìa, picarli pa…"
"Basta, Brumba! Va a casa, lassane finir ’a partìa sensa le to rogne!"
Angelo Baccichét brontolò sordamente qualcosa, poi ripiegò la sua fotografia e si diresse oscillando verso la porta. Si fermò ancora un attimo e, prima di uscire, disse (in italiano, come faceva sempre quando era su di giri):
"Vado, signori, vado: ma sentirete presto parlare di me!"
L’idea gli era entrata nella testa a poco a poco, guardando la fotografia: si sarebbe fatto fare anche lui una fotografia sopra una botte, come quel bravo Garibaldino, e l’avrebbe spedita a “Fameja Alpina” per farla pubblicare! Già immaginava le facce strabiliate dei compari, l’ammirazione e l’invidia che avrebbe suscitato in paese. Detto fatto, un bel giorno trascinò fuori dalla cantina una botte o, meglio un caretèl, il prediletto, perché conteneva il vino migliore, così che era il primo ad essere vuotato.
Lo sistemò contro il muro della casa, bene in luce; nel mezzo ci inchiodò un cartello su cui aveva scritto: "Monumento all’Alpino Angelo Baccichét". Infine chiamò a gran voce il nipotino.
Il ragazzetto arrivò trafelato dai campi, col suo cane che gli saltellava intorno.
"Tonìn, va a tòr la machinéta de le fotografie che te à regalà to santola e vien a farghe ’na fotografia a to nono. De corsa!"
Tonìn scappò via e di lì a poco tornò con la macchinetta. Angelo Baccichét montò su una sedia e da quella passò sul caretèl, ove si mise ben ritto dando le disposizioni al nipote che lo guardava preoccupato.
"Tonìn! Si-tu a posto? Si-tu pronto? Varda che, se te lassi fora un tòco de caretèl o el me capèl de alpin te magno le recce! No sta far come quela volta che te ghe ha tajà fora la testa a to mare, che se vedeva solo le tete de picandolon, e tuti ’i dixeva:
"Questa xe la Gènia del Brumba, se la conosse benon anca sensa védarghe el muso!"
Tonìn era emozionatissimo, un po’ per la paura di sbagliare, un po’ per quella che gli pareva l’ennesima stramberia del nonno; comunque, per non farlo arrabbiare, lo inquadrò ben bene e scattò la fotografia. Angelo Baccichét aveva assunto un’aria marziale, spingendo in fuori più che poteva il petto e il mento.
"Ho fatto, nonno!" disse Tonìn.
"Spèta, fàghe-ne un’altra - gridò Angelo - spèta che cambio posissiòn!"
Non si sa bene come successe ma, proprio mentre stava cambiando posa Angelo oscillò, il caretèl ancora di più e, prima che Tonìn potesse fare qualcosa, Angelo e caretèl erano per terra.
"Brumba, Brumba, i te gà messo sul giornàl!"
I compari venivano avanti per la stradetta, sventolando “Fameja Alpina”. Angelo Baccichét era seduto davanti alla porta di casa, e pareva davvero un monumento, ingessato com’era.
Un sorriso gli addolcì l’espressione truce: dunque ce l’aveva fatta!
" Fe-me vedar, fiòi de cani!"
I compari, in festa, gli si schierarono davanti e quello che teneva il giornale disse:
"Te si’ tuto intiero, in zima al caretèl, - e soto i gà scrito: “L’alpino Angelo Baccichét si rompe una gamba, un braccio e due coste dopo aver scalato una botte!”
"Te sarà contento, càncaro de un Brumba!"
Il Brumba si era rannuvolato, l’ingessatura prese a vibrare minacciosamente.
"Fe-me lèsar: xelo scrito proprio “scalato”?
Lesse brevemente, poi esplose:
"Bestie! Maledetti! Aseni! SCOLATO, i dovéa scrivar, co la O, no SCALATO con la A! I me gà rovinà la reputassion, viliacchi!"
E, mentre i compagni arretravano impauriti, Angelo Baccichét strapazzò il giornale con la mano che gli restava libera e lo buttò via sbraitando e bestemmiando.
Fu così che “Fameja Alpina” perse un affezionato lettore.
Per un banale errore di STOMPA!