Cartolina a Roma
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I racconti di Valentino Morello
Cartolina a Roma
Angelo Caracòi, detto Piovanèl, non aveva mai visto dal vero un Papa, né aveva mai pensato di poterlo vedere. Don Bastiàn, quello sì, lo vedeva ogni giorno, quella brutta faccia: perché gli doveva fare da nonzolo, era una tradizione di famiglia. Anche Titta Caracòi, suo padre, lo chiamavano Piovanèl, e Piovanèl era anche suo nonno, perché andavano ogni tanto a suonar le campane, a servir messa, a cantar da morto o da sposi.
"Tu sarai in prima linea! – andava sbraitando su e giù per la piccola chiesa don Bastiàn – e quando lui ti passerà vicino, tu gli bacerai la mano e gli dirai: 'Santo Padre, Le porto un saluto dalle mie montagne!'"
Don Bastiàn moriva dalla voglia di andare a Roma con gli alpini: ma non poteva, non poteva proprio: e allora, tutte le voglie e le speranze doveva riporle in quel buon uomo di Angelo Caracòi.
"E bevi poco, che non ti spussi il fiato proprio davanti al Papa, sarebbe una vergogna! E per l’amor di Dio, niente bestéme, che te ne tiri anche senza accorgertene!"
Angelo Piovanèl cercava di tenere a mente quello che doveva dire al Papa ma, dentro di sé non era molto convinto della faccenda. Gli pareva quasi una brutta azione andare a seccare quell’uomo con i suoi “saluti dalle montagne”. Quante robe ha in testa un Papa? Quanti pensieri? Come fa’ un Papa ad avere in testa un posticino per le montagne?
Avrebbe voluto dire a don Bastiàn:
"Caro parroco, lu xe mato da ligàr, ’a farme far ’ste robe! E anca un rompi… che el me rovina la festa, sacranon!...
Ma non disse niente, per rispetto; e anche perché quella cretina della moglie aveva ormai detto a tutti:
"El me Angelo el ghe parlarà al Papa!"
Sua madre pregava ogni giorno per il grande avvenimento, e la casa era piena di fotografie del Papa polacco; così che, il giorno della partenza, se era ben contento di uscire da un’aria da Santuario, Piovanèl aveva l’impressione di partire per un pellegrinaggio.
Altro che adunata degli Alpini!
Le preoccupazioni, comunque, sembravano diminuire lungo il viaggio. In terra di Toscana, la prima grossa bevuta di Chianti gli fece dimenticare don Bastiàn, la moglie, la madre e compagnia bella, e quasi quasi gli sembrava di non appartenere neppure alla stirpe dei Piovanèl.
All’entrata in Roma, sporgendosi dal finestrino, fece una pernacchia a un gruppo di seminaristi che passavano per la strada; e si sentì ancora meglio.
Il primo giorno a Roma passò veloce. Angelo Caracòi era instancabile, non perse un coro, un giro di ombre, una risata con gli amici. Finché venne il momento dell’incontro col Papa: quasi travolto da un fiume di alpini, Piovanèl giunse nella grande piazza. Capì subito che non sarebbe mai arrivato in prima linea. La grande piazza non era come quella del paese, che uno, a spintoni, arriva dove vuole. Qui era quasi nelle retrovie. Ma non gliene importava un gran che, dopo tutto riusciva vedere il Papa, lontano lontano, ma lo vedeva. Don Bastiàn poteva andare a ramengo, lui e le sue pretese.
Quando gli alpini levarono alti i cappelli, anche Piovanèl levò il suo, e gridò con gli altri quello che gli altri gridavano. Altro che i discorsi di don Bastiàn, mato de un prete!
Riportato indietro dal fiume di alpini, deviato di qua e di là, finì per trovarsi in una piccola osteria, a mezza costa di un colle, da dove si vedeva gran parte della città. Era sera, e il vino era buono.
Angelo Piovanèl si guardava attorno. Cercava le sue montagne. Dopo tanti palazzi e monumenti, le sue crode gli mancavano. Scrisse una cartolina alla famiglia, con la Basilica di S. Pietro e tutta la Piazza. L’ultima ombra con i compari, l’ultima canzone a fil di voce e poi giù, all’accampamento: l’indomani c’era la sfilata.
Roma: una piccola osteria...
I primi giorni dopo il ritorno in paese Angelo Caracòi contò tante balle quante non ne aveva raccontate da quando era nato. Qualche volta doveva addirittura frenarsi, perché pareva, a sentirlo dire, che lui e il Papa fossero diventati grandi amici.
Don Bastiàn sospettò la verità quando Piovanèl, con entusiasmo gli disse:
"…e el me ha dito de saludarlo tanto, che i gèra stài insieme in colejo!"
Così nessuno gli diede più retta. La cartolina che aveva spedito finì sul vetro della credenza assieme alle foto della cresima dei bambini. Ma al rivedere quella piazza in fotografia, gli tornò in mente quel Papa visto da lontano, circondato da tanti preti, nella grande città, nelle grandi case. S’era messo in testa il cappello d’alpino, il Papa; ma, senza montagne attorno che alpino poteva essere? O forse era davvero un alpino, ma doveva essere molto triste. Roma è bella, ma non è fatta per gli alpini. Ci vorrebbero le montagne.
Allora andò da Gènio Tabachìn, scelse una cartolina a colori con le sue montagne, quella che ne aveva più di tutte, quella dove si vedevano meglio: sulle cime più alte c’era la neve e, nella valle, era tutto un fiore. Si vedeva anche la chiesetta di Don Bastiàn, ma era piccola piccola.
Ci scrisse su:
"Tanti saluti dalle mie montagne!" e indirizzò “Al Santo Padre – Roma.”
Fra alpini ci si aiuta, pensò.
In ultimo mise la firma: - Alpino Caracòi Angelo – Piovanèl.